Diana Vreeland L’imperatrice della Moda. M.Vignali

Giovedì, 30 Novembre 2017. 

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Diana Vreeland in her Vogue office in 1965.

 

La moda non è scritta solo dai grandi stilisti ma anche dalla giornaliste e direttrici di moda che ne hanno cambiato il corso e influenzato la storia. La prima donna a capire l’importanza del fashion  come comunicazione, linguaggio, immagine e stile anticonformista e moderno è senza dubbio l’iconica e travolgente Diana Vreeland: un nome, mille storie, una passione ed un insegnamento che non è passato di moda e non è stato dimenticato a distanza di anni. Diana Vreeland  è stata molto di più di una semplice direttrice di moda: è stata reporter, scrittrice, costumista e rivoluzionaria della moda comprendendone il cambiamento e l’importanza di un linguaggio nuovo e straordinariamente immaginativo e creativo facendo diventare i suoi editing di moda una rivista canta storie che sapeva colpire, immaginare, lasciare il segno e farsi ricordare per qualcosa che va oltre l’abito e l’immagine ma che cerca di indagare nel profondo e di raccontare una storia nella storia. 

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Nasce sotto il nome di Diana Dalziel a Parigi  il 29 luglio del 1903, da una famiglia conosciuta nell’alta aristocrazia americana. Il padre era di origine britannica e la madre americana.  Trascorre l’ infanzia tra l’America, Londra e Parigi ammirando luoghi particolari e ricchi di storia. Frequenta il mondo del teatro,  dei balletti russi tanto che lei stessa è stata una grande interprete e ballerina. Racconta nella sua biografia, scritta negli anni prima della morte che  da bambina assistette all’incoronazione del  Re Giorgio V. La sua grande cultura non arriva dalla scuola come tutti pensano, ma dal fatto che ha viaggiato e si è sempre sentita libera di imparare la storia vivendola e subendola.  La sua più grande fortuna dice di essere stata quella di essere nata a Parigi negli anni della Belle Époque,  di aver incontrato e dialogato con Djaghilev e aver frequentato un mondo aulico e ricco di bellezza. Non si è mai sentita bella e ha sempre detto di non esserla mai stata a causa del fatto che la madre la trattava come un piccolo anatroccolo. Nei Ruggenti anni Venti è a New York dove stava per diventare la ragazza più popolare, ballava e si divertiva come imponeva la società dell’epoca. Inizia a sentirsi bella e corteggiata  quando  incontrò il suo primo ed unico grande amore il banchiere  Thomas Reed Vreeland nel 1924, con il quale si sposò ed ebbe due figli. Il matrimonio la porta a vivere a Londra dove aprì un negozio di lingerie fatte interamente a mano capi realizzati in  pura seta con ricami preziosi . Nella sua boutique passarono donne importantissime. Ne cito una su tutte: Wallis Simpson, che ben presto divenne Duchessa di Windsor cambiando lo storia della monarchia Inglese. Sempre negli anni Venti, in cui aveva imparato a sentirsi bella, libera e anticonformista, frequenta sempre di più Parigi e le grandi stiliste del momento come Coco Chanel, alla quale la legherà una lunga e confidenziale amicizia fatta di stima reciproca.  L’Europa entra in guerra così si trova costretta a lasciare Londra e trasferirsi definitivamente a New York. Si sente molto sola e triste nonchè annoiata ma ben presto tutto cambia in meglio: arriva l’opportunità di scrivere di moda.  Iniziò la sua carriera come giornalista e redattrice per la rivista di moda Harper’s Bazaar! L’editrice Carmel Snow la notò a un ballo al St. Regis  in un abito Chanel e le propose di lavorare per la rivista, dove  iniziò ad occuparsi della leggendaria rubrica “Why don’t you?” con cui si prodigava nel dare consigli eccentrici alle signore come: “Lavate i capelli biondi di vostro figlio con lo champagne avanzato”. Si comprende il fatto che lei fosse anti conformista e sopra le righe questa rubrica nasce nel periodo storico in cui c’è la recessione e il razionamento ma la sua voce fuori campo permetteva a tutti di credere e sognare tempi migliori. La sua rubrica era molto letta e seguita ogni mese: era un’ attesa per ridere e sentirsi sognatrici. Dopo qualche anno da giornalista divenne ben presto la direttrice di Harper’s Bazaar. Cambiando l’editing della rivista inserisce più immagini, fotografie immaginarie che sapevano raccontare una storia oltre l’abito; divenne ben presto la donna più influente della moda, inserì nelle sue riviste modelle prese per la strada come  Lauren Bacall che poi ottennero un successo globale. Bazaar diventa ben presto la rivista di moda più influente nel mondo della moda. Dopo la ben ventotto anni al loro servizio, decise che era giunto il tempo per cambiare, così lascio Harper’S Bazaar per arrivare a Vogue portando la rivista a dei livelli inimmaginabili per l’epoca. La pillola, la minigonna, i Beatles avevano cambiato la visione di un decennio. Non erano più le famiglie borghesi cui lei voleva rivolgersi. La gioventù era la sua ispirazione e la nuova donna era la sua lettrice più irriverente. Per la prima volta la moda veniva dalla strada, ma Diana Vreeland amava stare sempre un passo in avanti rispetto al pubblico. Eliminò tutti quegli articoli banali come cucinare una torta, mangiare a tavola, bonton o buone maniere. Lei dà più spazio alle fotografie di moda, servizi fatti all’estero con fotografie scattate all’aperto da grandi fotografi. Vogue diventa la migliore rivista che interpreta il cambiamento della moda degli anni Sessanta, dove racconta il cambiamento della nuova generazione, le minigonne,  la rivoluzione giovanile e le nuove mode della strada. Percepì il cambiamento della moda e lo interpretò nel modo corretto e veritiero. Gli anni Settanta diventano per lei i nuovi anni Venti che ha vissuto e interpretato. Sono per lei gli anni più moderni e rivoluzionari di tutti i tempi. Negli anni ‘70 le vendite del giornale e degli spazi pubblicitari calarono bruscamente e Diana fu licenziata da Vogue. Aveva quasi settant’anni ma con la forza di una ventenne riuscì a reinventarsi diventando consulente per il Metropolitan Costume Institute, dove organizzò retrospettive creative e sfarzose rievocando i Balletti Russi, le corti dei Marhaja o esponendo gli abiti delle dive di Hollywood.  Ospita mostre dedicate a stilisti come Yves Saint Laurent e ne dedica una alla Belle Epoque. Negli anni Ottanta scrive una biografia magica e travolgente che vi consiglio di leggere: s’intitola DV Diana Vreeland ,dove ripercorre la sua vita e la sua arte di donna libera di sognare e di lavorare in modo del tutto creativo, perché la creatività doveva uscire della  pagine della rivista. La sua vita si spegne il 22 agosto del 1989 a New York, lasciando il mondo della moda più vuoto e spento, che lei ha sempre continuato a guardare anche da lassù…

 Chissà cosa penserebbe della moda di oggi e cosa direbbe di questo cambiamento dinamico e travolgente degli ultimi tempi. Io penso che potrebbe essere una perfetta icona di stile oltre che una  scrittrice  creatrice di un sogno e che saprebbe dialogare perfettamente con il mondo circostante. Lei che non si è  mai sentita bella ma che ci ha donato bellezza, incanto, sogno e fantasia. Ci ha insegnato il lusso silenzioso e elegante. Grazie Diana: un mito, un’ artista geniale e mai banale perché si sa che è la banalità a spegnere il mondo.

Michele Vignali.

 

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Diana Vreeland e Carmel Snow 

 

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Why Don’t  you? 

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Copertina di Diana Vreeland per Harper’s Bazaar Aprile 1956

 

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Diana Vreelan Curatrice della mostra su Balenciaga al  Metropolitan Costume Institute.

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Addio a Azzedine Alaïa. M.Vignali

Domenica, 19 Novembre 2017. 

 

 

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Ieri pomeriggio prima di dar vita all’evento Parole in Atelier ho incontrato Luisella Dalla Chiesa, sotto braccio aveva una monografia dedicata a Azzedine Alaïa così le faccio i complimenti per la lettura e lei mi informa che lo stilista ci ha lasciato in modo silenzioso e del tutto improvviso.

Alaïa uomo di statura piccola ma di grande cultura, capacità creativa ed espressiva. Tutti questi sono gli elementi che contraddistinguono una creazione dettaglia, perfetta, seducente, raffinata e mai banale perché ricca di una grande personalità. Lo stilista, nato a Tunisi nel 1940, si  è spento ieri in modo silenzioso ed improvviso  all’età di 77 anni lasciando il mondo della moda ammutolito e con  un grande vuoto. I suoi abiti e accessori erano amati dal star e top model degli anni Ottanta ne cito una su tutte, la Venere Nera Naomi Campebell che quest’anno è tornata a sfilare per la collezione  Haute Couture  dello stilista.  La passione per la moda dello Couturier Tunisino avviene in modo del tutto spontaneo grazie alle lettura di Vogue giornale di moda amato dalla sorella dove era attratto dallo  stile  di Dior e Balenciaga.  Alaïa studia presso l’Accademia di belle arti di Tunisi, seguendo un corso sulla scultura, sostenuto in questo da Madame Pineau, sua mentore e all’insaputa del padre. Da qui nasce il suo amore per la scultura che cerca di riportare e ricostruire nei suoi abiti scolpendo e lavorando il tessuto come se fosse marmo ma togliendo quella pesantezza che può avere una statua per lasciare la caduta leggera e sensuale del tessuto sul corpo. Prima di lui avevano lavorato al connubio scultura-abito stiliste come Madeleine Vionette o Madame Grès.

Finiti gli studi artistici lascia la sua terra natale per trasferirsi a Parigi nel 1957 anno in cui muore Christian Dior. Inizia una lunga gavetta e carriera come assistente  presso gli atelier di Guy Laroche e poi di Christian Dior. In questo periodo grazie a amicizie comuni Azzedine conosce donne che diventeranno per lui muse d’eleganza e amiche: dalla poetessa Louise de Villemorin a Greta Garbo, da Arletty a Cécile de Rothschild. il vero successo arriva da Thierry Mugler, cui segue la decisione di aprire un proprio atelier a fine anni ’70. La Ville Lumière lo accoglie a braccia aperte e gli spalanca le porte del successo. Schivo e timido, invece che usare la voce ha sempre preferito far parlare i suoi abiti, veri capolavori sartoriali, realizzati con una precisione quasi geometrica, creazioni che sembrano vive, materia tessile in costante tensione. Molte le grandi donne passate sotto le sue forbici, nell’atelier di rue de Bellechasse, sulla Rive Gauche. In quegli anni nella capitale francese conosce e frequenta sempre di più la sua icona la grandissima Greta Garbo. A lei confeziona Per lei confeziona un paio di pantaloni, un pull di jersey e un cappotto di taglio maschile, capi che diventeranno iconici per lui e per chi apprezza il suo stile così femminile e particolare. Nel 1979, realizza la sua prima linea prêt-à-porter, che presenterà poi ufficialmente nel 1981 nel suo appartamento di Rue de Bellechasse. L’hanno del successo  e dell’acclamazione è senza dubbio il 1982 grazie alla sfilata di New York. In questa collezione presenta abiti stretch, tagli laser, utilizzo di zip e forme super femminili in omaggio anche a Mugler.   L’estro nel modificare corpi e profili col suo gioco di taglio era stato celebrato due anni fa nelle sale della Galleria Borghese a Roma, dove tra le sculture del Bernini e del Canova, aveva portato 60 abiti creati nell’arco di un quarantennio. Una mostra-evento con alcune delle icone della ‘soft sculpturè di Alaïa, come l’abito viola realizzato per Grace Jones, e lo storico ‘Bondage dress’ del 1984 nella sala dedicata ai ‘Masterpiecè della sua arte. Un contrasto immaginifico di forbici contro scalpello: «Non penso molto all’eleganza in sé quando creo i miei abiti – aveva detto allora all’Adnkronos – ma al corpo delle donne. Questo per me è quel che conta davvero». Ci ha lasciato un anti conformista, ribelle e creativo che ha segnato le pagine più belle della moda dando vita ad una forma d’arte scultorea in movimento. Addio Alaïa insegna agli angeli a vestire con gusto ed estrema libertà.

Michele Vignali

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Parole in Atelier. M.Vignali

Lunedì, 13 Novembre 2017 

 

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E’ per me un grande piacere annunciarvi un nuovo progetto, uno straordinario connubio artistico tra parole, moda, immaginazione e racconti. Vi parlo dell’evento  Parole in Atelier, che si svolgerà sabato 18 novembre alle ore 17.30  presso l’Atelier della stilista Parmigiana Izabel Narciso in Borgo Padre Onorio 16 C/D, che ospiterà le presentazione del libro I Gemelli di Gheddafi scritto dall’Avvocato milanese Marco Ubezio. A condurre la chiacchierata tra parole, stile e fashion sarò io che cercherò in qualche modo di far rivivere l’importanza dell’Atelier nel momento in cui  un tempo era considerato un luogo di incontro, di suggestioni, punto di unione e fucina creativa dove sviluppare idee e connubi importanti. Oggi quando sentiamo parlare di Atelier ci viene  in mente solo dal punto di vista della creazione di capi d’abbigliamento, dimenticandoci completamente che un tempo all’interno di questi spazi i fruitori si intrattenevano tra  chiacchiere, scambi di idee e racconti, da cui spesso nascevano movimenti artistici e letterari. Posso pertanto citare l’atelier di Elsa Schiaparelli che dialogava con artisti surrealisti come Pablo Picasso, Cocteau o Man Rey, quello delle Sorelle Fontana che a Roma, negli anni Cinquanta, ospitavano la più grande Hollywood sul Tevere di tutti i tempi e per finire citerei l’Atelier di Gianni Versace che ha raccolto le confidenze di Lady Diana portandola a diventare un’ icona di stile. Quindi si comprende l’ importanza del  dell’atelier non solo per mettere in luce chiacchiericcio o pettegolezzo, bensì inteso come possibilità di mettere in correlazione più forme creative e artisti che dialogano tra di loro sul filo di un’intesa, attraverso l’immaginazione.  Sì, l’immaginazione accomuna   sia chi crea un abito e chi compone un racconto perché entrambi, oltre ad immaginare devono avere la capacità di ideare qualcosa di emozionale, suggestivo, che colpisca e resti nel cuore di chi legge e di chi intende acquistare. La giornata di sabato pertanto vuole cercare di  recuperare l’importanza dell’atelier come luogo di incontro e raccoglimento di idee, dialogando verso la concretizzazione di un sogno, con l’augurio di essere sempre grandi sognatori, umili e veritieri, di credere sempre nelle proprie aspirazioni perché un domani potrebbero divenire realtà.  Per me sarà un grande onore poter ricostruire quell’immaginario un po’ amarcord dell’atelier del passato, introducendo sia il lavoro di Izabel Narciso che  la lettura e narrazione del racconto giallo I Gemelli di Gheddafi di Marco Ubezio, che si lega perfettamente al mondo della moda e alla città dinamica e futurista di Milano.

Mi raccomando…segnate l’evento sul vostro calendario!

 

Libro Marco Ubezzio

Per richiedere una coppia del libro ed immergerti in un racconto giallo profondo e dalle mille sfumature  scritto da Marco Ubezio clicca al Link qui di seguito: https://bookabook.it/libri/i-gemelli-gheddafi/

 

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Per scoprire la creatività, stile e ricercatezza artigianale ed espressiva della stilista  Izabe Narciso colleganti al suo sito che rappresenta nella completezza il suo grande lavoro: http://izabelnarciso.com/

Locandina dell’evento creata da Sofia Barbieri.

Michele Vignali.

La storia della Contessa di Castiglione ”Io ho fatto l’Italia” M.Vignali

Mercoledì, 8 Novembre 2017 

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La mia passione per la storia mi ha portato di recente ad approfondire la biografia  di una donna molto importante e influente nel Risorgimento Italiano anche se non tanto idealizzata e ringraziata per il suo lavoro e merito di aver cambiato la storia dell’Italia. Qual è allora la causa? Il fatto principe è che era una donna e che la storia viene scritta e raccontata soprattutto da storici uomini che idealizzano poco il ruolo delle donne nel cambiamento della storia e della società questo accade anche per altri fatti.

Donna colta, intelligente, poliglotta, influente e estremamente bella è la Contessa Virginia Oldoini di Castiglione che entra a buon diritto  tra i personaggi che hanno contribuito alla unificazione e all’indipendenza dell’Italia dalle dominazioni straniere grazie alla sua bellezza, cultura e ruolo da seduttrice. Nata a Firenze il 23 marzo 1837, come marchesina Virginia Elisabetta Luisa Carlotta Antonietta Teresa Maria, figlia del marchese Filippo Oldoini, primo deputato di La Spezia al parlamento italiano e di Isabella Lamporecchi, nobildonna fiorentina. Un infanzia passata in luoghi ricchi di cultura, opulenza, bellezza ed unicità che la portano ad avere una grande conoscenza della storia, dell’arte, del mondo e della cultura.  A diciassette anni va in sposa Francesco Varasis Asinari, conte di Costigliole d’Asti e di Castiglione Tinella, da cui avrà un figlio Giorgio Verasis Asinari, erede del titolo ma morirà molto presto. All’apparenza sembra un matrimonio felice tutto rosa e fiori ma nella realtà dei fatti cerano tradimenti da entrambe le parti. Anche se non è un matrimonio facile e felice gli permette di introdursi alla corte di Torino, che la accoglie con grande ammirazione e calore, dove conosce il Re Vittorio Emanuele II e personaggi influenti, tra cui Costantino Nigra, ambasciatore piemontese a Parigi alcuni biografi, i più accreditati, scrivo che lei fosse l’amante prediletta del Re. Nel capoluogo Piemontese, Torino avvia stretti contatti col cugino del marito Camillo di Cavour, che ha subito modo di apprezzarne il fascino e l’abilità diplomatica nella sua mente riecheggia già l’idea di affidargli un ruolo importante per cambiare la storia dell’Italia.  Virginia è una conoscitrice del francese, ha un innegabile potere di seduzione, ma è anche animata da fervore patriottico; è dunque perfetta per quello che lui ha in mente e che non esita a proporle di lì a poco. La storia segna un fatto molto importante e difficoltoso con il fallimento dei moti del 48 e la sconfitta sabauda nella prima guerra d’indipendenza, Cavour è sempre più convinto che il risorgimento italiano ha bisogno dell’aiuto di un personaggio potente, in grado di schierare il suo esercito a fianco delle armate piemontesi contro l’impero asburgico; questo personaggio non può che essere Napoleone III di Francia, che ama l’Italia e ha più volte dichiarato simpatia per le sue sorti. Qui entra in scena importanza di Virginia è la carta vincente. Certamente Cavour sa convincere la cugina a giocare un ruolo ardito e al limite della convenienza e della moralità, di cui entrambi si rendono conto. Giunta a Parigi nel 1855, pienamente consapevole del valore politico della propria impresa, Virginia Oldoini viene affidata a Costantino Nigra, con il compito di farne una spia. La contessa, che conosce quattro lingue, impara anche un codice cifrato che utilizza nella corrispondenza che tiene costantemente con il governo del Piemonte. Entra subito in società partecipando a feste e spettacoli, indossando gioielli preziosissimi e vestiti tanto audaci quanto inconsueti cercando sempre di immortale un personaggio o dargli un ruolo in feste e apparizioni pubbliche diventando una sorta di incantatrice di stravaganza nella società parigina dell’epoca. Nella capitale Francese, Parigi, ha l’onore di essere accolta nel salotto della principessa Matilde, figlia di Girolamo Bonaparte, ex re di Westfalia, frequentato anche da esponenti del movimento italiano di indipendenza. Qui, in occasione di una festa, conosce l’Imperatore che ne rimane abbagliato. La presentazione ufficiale avviene però più tardi e, nel gennaio del 1856, Virginia può considerarsi giunta al traguardo. La gran presenza mondana e seduttiva della contessa dà ben presto i risultati sperati da Cavour: mondanissima, costosissima, ospitata lussuosamente al castello di Compiègne, la contessa diviene per un anno l’amante pressoché ufficiale dell’imperatore, suscitando invidie, grande scandalo e la furia della cattolicissima consorte: l’imperatrice Eugenia. Così, la “divina Castiglione”, “l’amica dei Re”, “l’Imperatrice senza impero”, “la favorita delle Tuileries”, porta avanti la sua missione che si concretizza “come un frutto maturo” nel Convegno di Plombières, dopo la conclusione della guerra di Crimea a cui il Piemonte aveva partecipato a fianco delle grandi potenze europee, proprio per poter avere un riconoscimento internazionale. A Plombières Cavour incontra Napoleone in un incontro segretissimo, dove l’imperatore francese si impegna formalmente ad appoggiare militarmente il Piemonte in caso di aggressione austriaca. E’ il trionfo di Virginia, che sappiamo, poco dopo lo storico convegno, recarsi a Londra da dove continua la sua attività diplomatica, intrattenendo contatti con esponenti della carboneria in esilio e diplomatici di paesi amici e nemici.Il 2 maggio 1859 l’Imperatore parte per l’Italia dove Vittorio Emanuele aveva dato inizio alla seconda guerra di indipendenza, ma l’armistizio di Villafranca getta acqua sul fuoco delle speranze. Napoleone non rispetta la promessa fatta: quella di liberare dagli austriaci l’Italia fino all’Adriatico, anche per ricambiare l’annessione, patteggiata con Cavour, di Nizza e Savoia. Da questo momento la stella di Virginia comincia a offuscarsi presso la corte francese e la contessa, accusata di cospirazione, viene espulsa dalla Francia e costretta a tornare in Italia, a Torino, dove decide di dedicarsi all’educazione del figlio, rimasto solo dopo la morte del marito, perito in un incidente poco dopo il loro divorzio. Nel 1862, per intercessione dell’ambasciatore Costantino Nigra, tornerà a Parigi con propositi di rivalsa, ma ormai la situazione è definitivamente cambiata e il declino del Secondo Impero, soprattutto dopo la conclusione infausta della guerra franco prussiana, la sollevazione della Comune di Parigi e la conseguente Settimana di sangue che sconvolse la capitale francese, non farà che aggravarne la situazione economica e sociale, oltre che l’equilibrio psichico. Neanche da Vittorio Emanuele II, ormai proclamato sovrano del regno d’Italia, ottiene l’attenzione e il riconoscimento delle sue azioni in favore della politica piemontese, e la sua vita declina così nel silenzio e nel’oscurità dell’appartamento parigino, dove la leggenda racconta che aveva fatto oscurare tutti gli specchi, per non dover assistere al decadimento della sua bellezza. Si narra che conservò fino a vecchiaia avanzata, come una gelosa reliquia, al’interno di una piccola teca sferica di cristallo, la vestaglia di seta verde con cui, durante la notte passata con Napoleone III di Francia, sarebbe cambiata la storia d’Italia. Amante della Fotografia  frequentava spesso  lo studio fotografico di Mayer e Pierson, fu da lei utilizzata ampiamente.  Il procedimento fotografico base, che prendeva le mosse da una posa in acconciatura appositamente predisposta o da un tableau vivent, diveniva così solo la fase di partenza della dinamica creativa. Abbondantemente sull’immagine ripresa veniva poi investito l’intervento di pittori e miniaturisti. Quando necessario c’era l’azione sul’immagine con pastelli e pennelli da parte della stessa contessa, che desiderava fare di ogni atto della sua vita un evento e accrescere geometricamente il desiderio altrui di continuare ad avere il privilegio di vederla. A Costantino Nigra, Virginia Oldoini aveva donato l’album di fotografie, che è conservato al Museo Nazionale del Risorgimento di Torino. Il conte Robert de Montesquiou, il dandy che appare in uno dei più famosi ritratti di Boldini, fu ammiratore di Virginia Oldoini e ne realizzò una biografia, che, alla pubblicazione, ebbe la prefazione di Gabriele D’Annunzio. Quello che è certo è che la storiografia ufficiale ha fatto di tutto per cancellare il suo ruolo nella politica piemontese, anche sostenuta dal fatto che le sue carte, che testimoniavano i contatti da lei avuti con molti importanti personaggi dell’epoca, furono sottratte e si scrive che sia  bruciate dalla polizia subito dopo la sua morte, avvenuta il 28 novembre 1899 l’anno in cui finisce un secolo e ne inizia un altro. Peccato che la storia abbia fatto finire così presto la sua anima e grandezza che ha cambiato la storia, molto spesso  le persone che cambiano la sorta della storia non vengono ringraziate e ricordate per merito e impegno. Una donna moderna, bella, che dice ‘’ io ho fatto l’Italia’’ peccato che però la sua storia sia caduta un po’ nell’ombra, nascosta e taciuta per non esaltare l’immagine di una donna che si è venduta anima e corpo per cambiare le sorti della storia.  Quello che lei diceva molto spesso nei salotti e nelle sue lettere era questo:  ‘’La cosa che amo di più al mondo è la mia libertà.”

 

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Michele Vignali.