I Favolosi Anni 60

Lunedì, 23 Maggio 2016 

Vestiti-anni-60-1.jpg

Gli anni ‘60 rappresentano un momento di trasformazione globale ed epocale. La società è in forte fermento ideologico e inizia a comporsi di ragazzi intenzionati a cambiare le regole reclamando tutti gli stessi diritti. Dopo i favolosi ed eleganti anni Cinquanta, caratterizzati da una forte e seducente femminilità, si passa ai “mitici anni Sessanta” (come amano definirli i fashionisti), senza dubbio un decennio caratterizzato dal più importante rinnovamento generazionale del secolo scorso.

Tutto questo rinnovamento è dato da grandi e forti eventi socio-politico-culturali che in quegli anni hanno influenzato e modificato profondamente i valori e lo stile di vita delle nuove generazioni. La prima rivoluzione che avviene nella moda è quella di spostare la centralità della moda da Parigi a Londra: se prima la capitale francese dettava legge nella moda dalle boutique all’haute couture, ora  tutto si  sposta a Londra dove per comprendere le novità basta osservare cosa indossano i giovani per strada. Per la prima volta infatti non si penserà solo ad una moda per ricche signore ma anche per una clientela più giovane e dinamica.

Sarà pertanto l’Inghilterra il paese a dare dimostrazione delle le prime ribellioni giovanili. Sono gli anni in cui si scende in piazza per manifestare, iniziano gli scioperi per acquisire diritti in campo lavorativo e non solo, soprattutto nel 1968 i ragazzi occuperanno le piazze per gridare al cambiamento mentre tutto ciò destabilizza il mondo politico e fa impazzire i media internazionali.

6a00e55290e7c488330133f51862aa970b-320wi.jpg

Se il mondo in questo periodo è in fermento e i ragazzi lottano per ideali nuovi quale sarà la moda che segnerà l’epoca degli anni Sessanta?

Le ragazze non hanno più voglia di recarsi dalla sarta con il cartamodello inborsa per farsi realizzare l’ultimo tailleur di Jackie. L’alta moda sta perdendo potere perchè inizierà a dare spazio alla nuova idea, il Prét-à-porter, visto che ormai si può acquistare lo stesso modello ad un prezzo inferiore. Ma la moda lancia come sempre un capo icona, che caratterizza un’epoca e che la contraddistingue dalle altre: infatti, la minigonna, creata dalla stilista ingleseMary Quant, assumerà un ruolo fondamentale. In Italia verrà fatta conoscere da Patty Pravo, la ragazza del Piper.

Twiggy-Mod-fashion-geometric-prints-and-colorblock.jpg

Molte ragazzine si recheranno di corsa in Carnaby Street, dove fioriscono negozi che mescolano il nuovo look a quello dell’usato (che si potrebbe definire Vintage).

Non soltanto la stilista inglese segnerà la moda anni ’60 ma anche quelli francesi lasceranno con una moda futuristica: Courrèges e Cardin si proietteranno nel XXI secolo immaginando una donna spaziale, fatta di abiti rigidi dalle linee diritte e a tinta unita, accessoriata da stivali piatti e capelli. Lo stilista Paco Rabanne (definito da Coco Chanel ” il metallurgico”) creava abiti con lastre in alluminio o di plastica.

Il legame tra moda e arte si fa sempre più stretto. Infatti Yves Saint Laurent lancia i suoi abiti ”Mondrian” o ”Op art ”. Andy Warhol stampa su un vestito il logo delle zuppe Campbell.

Anche le stampe di Emilio Pucci caratterizzano il periodo.  Altri capi d’abbigliamento hanno caratterizzato quest’epoca oltre a quelli artistici: lo scamiciato, l’abito a trapezio. Da adesso in poi le donne indosseranno un abbigliamento estremamente giovanile, con miniabiti, tailleur, collant dalle fantasie vivaci, dai colori sgargianti e fantasie optical.

twiggy-e1447082589867-701x445.jpg

L’uomo che va sulla luna lancia l’attenzione verso le stelle, l’universo e i viaggi spaziali: Pierre Cardin lancia una collezione ispirata agli astronauti.

Per la prima volta si cerca di introdurre delle trasparenze negli abiti delle donne e nel 1968 Yves Saint Laurent lancia il suo nude look, proponendo un abito da sera di chiffon completamente trasparente tranne che all’altezza dei fianchi, dove aveva fatto applicare delle piume di struzzo.

Per quanto riguarda il make up si usano rossetti nude, fondotinta pallidi ma abbondante ombretto nero e eye liner.

In Italia una maison che accoglie a braccia aperte le tendenze della moda hippie è quella dei Missoni. L’etnico domina su tutto e gli hippie sono i primi ad adottare le giacche afgane di agnello rovesciato, gli indumenti di camoscio a frange, i caftani, le bandane e le collane di perline; tutto questo fa parte del loro atteggiamento di rifiuto verso il consumismo della civiltà occidentale. Gli accessori acquisiscono importanza: sono grandi e circolari, come gli orecchini o le collane dai colori accesi, quasi urlati. I cappelli si trasformano in vere e proprie sculture da indossare oppure a tesa larga per donare charme a tutta la silhouette. Per quanto riguarda le calzature, lo stivale si preferisce a punta oppure le eleganti e confortevoli ballerine. I coloratissimi foulard e gli occhiali diventano indispensabili insieme ai nuovissimi collant opachi o di tutti i colori del mondo.

Michele Vignali.

L’articolo lo trovate anche nella mia sessione Vintage-Amarcord nel blog di Alvufashionstyle

 

Dior e il New Look.

Martedì,10 maggio 2016 

Maison-Dior-3

Durante il secondo conflitto mondiale si assiste a un periodo di insicurezza per l’Alta Moda francese.  La moda cambia a ritmi incalzanti e il mondo intero combatte una guerra che porta grandi perdite umane. Le idee razziste di Hitler degenerano con le terribili deportazioni nei campi di concentramento. Di conseguenza tutto vive nel buio più assoluto: sarà così anche per la moda.

La prima grande difficoltà è dovuta all’approvvigionamento dei materiali mentre il diradarsi della clientela portò molti atelier alla chiusura. Ad esempio Chanel, che riaprirà nei primi anni Cinquanta scontrandosi con la nuova idea di donna firmata da Dior.

Dobbiamo ricordare un fatto storico molto rilevante: la sopravvivenza della moda francese giunse persino ad essere minacciata dalle forze di occupazione, che tentarono di appropriarsi degli archivi della Chambre Syndicale de la Haute Couture Parisienne, depositari della memoria storica delle maison parigine per trasferirli a Berlino, città designata a raccogliere l’eredità di capitale della moda anche per il fatto che Berlino avrebbe dovuto dominare sul mondo secondo l’idea nazista.

La moda in questo periodo storico coincide con il razionamento: infatti l’abbigliamento era regolato da norme severe, che stabilivano il numero massimo di metri di stoffa con cui un cappotto o un vestito potevano essere confezionati, oppure l’altezza che le cinture non dovevano superare. Gli abiti inevitabilmente si accorciarono e diventarono più smilzi.

Il cappello, realizzato con materiali di risulta e scampoli di stoffa, assunse il compito di distogliere l’attenzione dall’impoverimento dell’abbigliamento.

Qualche anno più tardi dopo la fine della guerra, Parigi tornò ad essere la capitale mondiale del fashion.  Il grande ritorno avvenne nel 1945 con il Théâtre de la Mode, una “sfilata” itinerante con più di 150 bambole di filo di ferro vestite con abiti haute couture realizzati dalle case di moda francesi.

Nel 1947, due anni dopo, il giovane Christian Dior lanciò la sua prima collezione, soprannominata «New Look» da Carmel Snow, editore di «Harper’s Bazar», in cui ogni traccia delle sofferenze e delle ristrettezze belliche era scomparsa. Le creazioni di Dior erano molto sfarzose ed eleganti, realizzate con abbondanti tessuti pregiati: infatti, per creare una gonna, servivano sino a tre metri di tessuto per donare ampiezza e rigore.

La sua bellissima moda proponeva una rielaborazione in chiave moderna dei canoni stilistici tardo ottocenteschi e questo suscitò le critiche delle più audaci innovatrici del secolo.

Coco Chanel inorridì e affermò che quella non poteva essere una donna emancipata visto che tornerà ad indossare un corsetto. Nella sua autobiografia, Elsa Schiaparelli ricordò il 1947 come il momento in cui «suonarono le campane a morto, quando il New Look, abilmente immaginato, superbamente finanziato e, infine, lanciato con un fracasso assordante di pubblicità, diede il colpo finale alla più breve esistenza di tutta la storia della moda».

Più che dal carattere innovativo, il successo delle collezioni di Dior dipese da una tempestiva e perspicace interpretazione delle tendenze del mercato e dall’efficacia delle sue strategie manageriali. Dior fu il primo a comprendere il valore della stampa come canale di promozione dell’Alta Moda, contrassegnò ogni collezione con un nome che veniva ripreso nei titoli degli articoli come le collezioni: ‘’A’’, ‘’H’’ e ‘’Y’’ poi seguiranno quelle a corolla dove si ricorda l’iconicotailleur Bar, composto da un’ampia gonna e una giacca stretta in vita. Monsieur Dior, non si fermerà soltanto a nominare le collezioni ma anche a creare una vera e propria campagna di lancio e promozionale sulle riviste di grido del periodo.

Crea una collezione ogni sei mesi, una per l’autunno/inverno e l’altra per la Primavera/Estate. In mezzo vi erano anche due collezioni di Haute Couture. La rivoluzione portata da Dior costringerà tutti gli stilisti a presentare le collezioni stagionali.

Dior si servirà, limitatamente agli accessori, dei contratti di licenza d’uso del marchio come strumento per finanziare la diversificazione e l’espansione del suo marchio sui mercati internazionali. La ricerca di una maggiore efficacia pervasiva che caratterizzava le strategie manageriali adottate dalla maison Dior era tuttavia il segno che la Seconda guerra mondiale aveva reso più incerto lo scenario competitivo.

New York fu la città che per prima riuscì ad approfittare dell’appannamento della leadership francese.

Una nuova generazione di disegnatori di moda, tra cui Claire McCardell (1905-1958), si fece portavoce dello stile di vita americano che esigeva abiti eleganti, di qualità a prezzi accessibili e abbastanza pratici da poter essere indossati da donne attive ed emancipate nella loro vita quotidiana. Dopo la sua morte nel 1957 il suo successore sarà il giovane Yves Saint Laurent. La grandezza di Dior sta nell’ aver compreso come si sarebbe mosso il nuovo mondo della moda, non più negli atelier e non solo per i ricchi. Inoltre ha evidenziato l’importanza della pubblicità di moda sulle riviste, che qualche anno più tardi delineeranno le tendenze. Inoltre, ha saputo cavalcare a pieno ritmo l’onda di un mondo in movimento.

Un grande artista, che con la sua mente e le sue mani ha saputo dare forma ad esclusive opere d’arte.

Michele Vignali

L’articolo lo trovate nella sessione Vintage-Amarcord nel blog di Alvufashionstyle.